La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha recentemente deciso di apporre la sua firma al referendum proposto dalla CGIL contro il Jobs Act, senza convocare alcun organo interno del partito per un dibattito pre-decisionale. Tale scelta solleva interrogativi sul metodo decisionale adottato, in netto contrasto con il racconto del “partito-comunità”, un principio a lungo sostenuto dalla stessa Schlein.
Il senatore Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Italia Viva, ha espresso la sua critica attraverso i social media, accusando Schlein di adottare un “decisionismo personalistico e maggioritario”, una pratica che si pensava fosse superata all’interno del PD, ora descritto ironicamente come “PdS (Partito di Schlein)”.
Secondo Borghi, nonostante gli appelli alla prudenza da parte degli esponenti dell’ala “riformista” del partito, la segretaria ha scelto di ignorare tali voci, affermando piuttosto una netta divergenza dalla linea politica e dalle decisioni storiche del partito. La decisione di Schlein sembra quindi rincorrere le posizioni di altri partiti e movimenti, come evidenziato dalle sue recenti alleanze con la CGIL, il Movimento Cinque Stelle e l’Alleanza Verdi e Sinistra.
Questo episodio ha scatenato anche la reazione di Matteo Renzi, ex leader del PD e ora alla guida di Italia Viva, che ha prontamente criticato l’azione di Schlein. Renzi ha sottolineato la contraddizione tra la firma della segretaria e le politiche passate del partito, facendo emergere una chiara divisione su temi di rilevanza nazionale come la riforma del lavoro. “Loro stanno dalla parte dei sussidi, noi dalla parte del lavoro”, ha commentato Renzi, mettendo in dubbio la coerenza della leadership attuale del PD e lanciando un appello ai membri riformisti del partito.
L’azione di Schlein e le reazioni susseguenti delineano un panorama di tensioni interne e di sfide ideologiche all’interno del Partito Democratico, testimoniando una fase di significativa trasformazione e di potenziale frattura.