Punti chiave
Che uno degli ultimi e più discussi acquisti da parte di Facebook sia WhatsApp, il sistema di messaggistica istantanea tra i più scaricati in assoluto, è noto a tutti. Ma forse qualcuno potrebbe non ricordare che prima di WhatsApp c’è stato l’acquisto di Instagram, nonché la creazione di una chat made in Facebook: Facebook Messenger. Quest’ultima non è altro che la chat che utilizziamo nella piattaforma online del noto social network, la quale ha preso vita indipendente ed è stata ottimizzata per mobile.
Perche Facebook ama le chat?
In che modo si spiega questa corsa all’acquisto di sistemi di instant messaging? Perché, insomma, a Facebook piacciono tanto le chat? La risposta è semplice e arriva dalla stesse parole pronunciate dai portavoce del social network durante una recente conference call con gli investitori: quello che interessa davvero a Facebook è espandere il suo dominio informativo grazie alle nostre comunicazioni private.
L’interesse per le nostre informazioni non è cosa nuova e sorprendente: da sempre, la ricchezza di questo free social network si fonda sui dati degli utenti, che permettono di offrire un target estremamente profilato a chiunque voglia promuovere la propria attività con le campagne a pagamento di Fb Adv. Ma per quanto oggi su Facebook la maggior parte delle persone si sia abituata a postare pubblicamente anche notizie relativamente molto personali, è nelle chat che davvero si dice quello che si pensa senza timori e soprattutto senza censura.
E sono proprio queste conversazioni spontanee, senza fronzoli né limiti derivanti dall’essere in pubblico, il patrimonio informativo più grande su cui andare a costruire una dinamica di post tagliati su misura per noi. Oltre a espliciti fatti personali, che sono già di per sé un’enorme risorsa, le chat parlano di noi senza che nemmeno ce ne accorgiamo: dicono quali piattaforme prediligiamo e per comunicare che cosa, e raccontano molto sulle nostre abitudini.
Insomma se nei primi anni Facebook si è “limitato” a collezionare dati sui nostri contatti oppure informazioni estrapolate dai nostri post pubblici, quello che sta facendo ora è entrare nei nostri messaggi privati, capire con chi e quanto chattiamo, quale mezzo usiamo per dire una cosa e quale per dirne un’altra. Potrebbe scoprire, ad esempio, che usiamo WhatsApp per scambiarci un certo tipo di informazioni, mentre Messenger per parlare di altri argomenti.
Sapere cosa ci interessa veramente
Tutto questo con un unico obiettivo: Facebook vuole che ogni qualvolta diamo un’occhiata ai news feed vediamo esclusivamente notizie che ci interessano e ci deliziano, sia che provengano dai nostri contatti sia che provengano dagli annunci promozionali. Se con la diffusione di Facebook cresce il numero dei nostri amici e di chi su Facebook si promuove, allora diventa importante filtrare le informazioni per mostrarci – in questo calderone – solo ciò che davvero ci interessa.
Per gli inserzionisti di Facebook questo significa poter raggiungere un target sempre più definito, arrivando davvero a degli utenti che si trasformeranno con più facilità in acquirenti. Sheryl Sandberg, direttore operativo di Facebook, durante la conference call ha fatto un esempio immediato e significativo: se digitiamo all’una di notte è probabile che saremo un target indicato per ricevere la pubblicità di un sonnifero. Ma questa affermazione ci porta a un gradino successivo, che avvicina il social sempre più verso la nostra sfera privata.
Uno spostamento dichiarato verso l’invasione sempre più massiccia della nostra privacy. Lo sa da tempo chi, appena giunta la nostizia dell’acquisto di WhatsApp, ha abbandonato l’app correndo alla ricerca di chat crittografate in grado di tenere al sicuro i nostri messaggi.
Lo facciamo per voi
Facebook giustifica questa razzia dei nostri dati e delle nostre conversazioni con la possibilità di avere in cambio un servizio di alto livello. La “parziale” perdita di privacy è vista come il prezzo da pagare per essere connessi e poter comunicare con il resto del mondo. Siamo abituati ad avere queste piattaforme che ci permettono di scambiare pensieri, foto, video con chiunque e ovunque del tutto gratuitamente. Ma un pagamento deve esserci. E in questo caso, prende la forma di dati: i dati sono la nuova moneta corrente del web e più sono personali più questa moneta vale. Una realtà con cui è necessario confrontarsi per capire le nuove logiche e dinamiche dei servizi online – Facebook è solo uno dei principali, insieme a Google – che ci stiamo abituando ad usare pensando che siano realmente gratuiti.