Punti chiave
L’Iran respinge le pressioni statunitensi per negoziati diretti sul programma nucleare e lancia un chiaro avvertimento ai Paesi che ospitano basi militari americane: in caso di attacco, saranno considerati parte in causa e colpiti. È quanto affermato da un alto funzionario iraniano.
Nonostante il rifiuto di avviare colloqui diretti con l’amministrazione Trump, Teheran si dice disposta a proseguire il dialogo indiretto tramite l’Oman, tradizionale canale diplomatico tra Washington e la Repubblica Islamica. “I colloqui indiretti sono un modo per valutare la serietà degli Stati Uniti nel cercare una soluzione politica”, ha spiegato l’ufficiale iraniano. Anche se il percorso si annuncia complesso, il funzionario non esclude che i contatti possano riprendere a breve, qualora i segnali provenienti da Washington risultassero incoraggianti.
Avvertimento ai Paesi del Golfo
Nel frattempo, Teheran ha inviato notifiche ufficiali a Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Turchia e Bahrein. Il messaggio è chiaro: ogni collaborazione con un’eventuale offensiva americana, inclusa la concessione dello spazio aereo o del territorio, sarà considerata un atto ostile. “Chi aiuterà un attacco contro l’Iran ne pagherà le conseguenze”, ha detto il funzionario, sottolineando che la Guida Suprema Ali Khamenei ha messo le forze armate in stato di massima allerta.
L’avvertimento arriva in un momento di forte instabilità regionale. Le minacce del presidente Trump di ricorrere alla forza militare contro Teheran si inseriscono in un contesto già infiammato da conflitti aperti a Gaza e in Libano, raid in Yemen, cambi di potere in Siria e scontri a distanza tra Israele e Iran.
Nervi tesi nel Golfo Persico
La crescente tensione ha agitato gli equilibri geopolitici del Golfo Persico, una zona strategica per il commercio globale di petrolio. Da un lato, l’Iran; dall’altro, le monarchie arabe alleate degli Stati Uniti. Le dichiarazioni iraniane rischiano di esacerbare la già delicata situazione, mettendo sotto pressione quei governi che cercano di evitare di essere trascinati in un conflitto su larga scala.
I governi di Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Bahrein non hanno rilasciato commenti. Il ministero degli Esteri turco ha dichiarato di non essere a conoscenza di un simile avvertimento ufficiale, pur ammettendo che comunicazioni di questo tipo possono avvenire tramite canali alternativi.
Tuttavia, un segnale di distensione è arrivato da Kuwait City. Secondo quanto riportato dai media iraniani, il governo kuwaitiano avrebbe rassicurato Teheran sul fatto che non consentirà l’utilizzo del proprio territorio per operazioni ostili nei confronti di altri Paesi.
Parallelamente, Teheran cerca di rafforzare il proprio asse con Mosca. La Russia, storica alleata dell’Iran, ha dichiarato inaccettabili le minacce militari americane e ha esortato alla moderazione. Tuttavia, nonostante il sostegno verbale, l’Iran resta scettico sulla reale affidabilità dell’appoggio russo. Il grado di coinvolgimento di Mosca dipenderà dall’evoluzione dei rapporti tra Trump e il presidente russo Vladimir Putin.
L’Iran, insomma, naviga tra diplomazia e deterrenza. Da un lato, si mostra disposto a riaprire i canali di dialogo, anche se indiretti, con Washington. Dall’altro, adotta una linea dura nei confronti dei Paesi vicini che potrebbero favorire un attacco americano. In mezzo, la Russia, che resta un alleato ambiguo, più utile sul piano tattico che strategico.
Le dichiarazioni iraniane sembrano avere un duplice obiettivo. Sul fronte interno, rafforzare il consenso e mostrare compattezza contro la minaccia esterna. Sul piano internazionale, lanciare un messaggio chiaro: l’Iran non resterà passivo di fronte a un’aggressione, e chiunque partecipi a un’offensiva, anche indirettamente, sarà considerato responsabile.
Il riferimento esplicito allo spazio aereo e all’uso delle basi è particolarmente rilevante. La regione ospita numerosi asset militari americani, da Camp Arifjan in Kuwait alla base Al Udeid in Qatar, passando per quelle in Bahrein e Emirati. Un’azione militare contro l’Iran molto probabilmente verrebbe lanciata proprio da questi avamposti, rendendo le minacce iraniane tutt’altro che retoriche.
L’equilibrio fragile del dialogo indiretto
La disponibilità iraniana a proseguire le trattative tramite Oman segna una distinzione importante rispetto al passato. Invece di un rifiuto totale del dialogo, Teheran sembra cercare una via d’uscita negoziale, ma a condizioni proprie. Il coinvolgimento dell’Oman, storicamente un interlocutore affidabile per entrambe le parti, conferma che l’Iran vuole mantenere aperto un canale di comunicazione, seppure informale.
Questa scelta consente all’Iran di guadagnare tempo e spazio diplomatico, evitando sia un’escalation militare sia un’apparente sottomissione alle richieste statunitensi. Allo stesso tempo, mette alla prova la volontà politica della Casa Bianca di risolvere la crisi con mezzi non militari.
Il quadro che emerge è quello di una regione sull’orlo della crisi, in cui ogni mossa può avere conseguenze imprevedibili. L’Iran gioca su più tavoli: tiene alta la guardia militare, ma non chiude del tutto le porte al dialogo. Gli Stati Uniti, dal canto loro, insistono sulla linea dura, ma non hanno ancora escluso soluzioni negoziali. I Paesi del Golfo, stretti tra alleanze militari e vicinanze geografiche, cercano di evitare il coinvolgimento diretto.
La posta in gioco è alta. Un conflitto con l’Iran potrebbe innescare una catena di reazioni a livello regionale e globale, con effetti devastanti non solo in Medio Oriente, ma anche sull’economia internazionale. In questo contesto, ogni parola conta. E le parole pronunciate o taciute nei prossimi giorni potrebbero fare la differenza tra guerra e diplomazia.