Punti chiave
Nell’arena politica statunitense, pochi rapporti hanno catalizzato l’attenzione come quello tra Donald Trump e il suo vicepresidente J.D. Vance. Quello che inizialmente sembrava un matrimonio di convenienza, l’ex presidente bisognoso di rinnovare il movimento MAGA e l’ex critico repubblicano in cerca di riscatto, si è trasformato in una simbiosi strategica che sta plasmando l’agenda dell’amministrazione. Fonti giornalistiche e analisti politici concordano: Vance non è un semplice comprimario, ma un architetto chiave delle politiche più radicali di Trump, in particolare in politica estera.
L’incidente Zelensky: il punto di non ritorno
Il 12 febbraio 2025, l’incontro tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nello Studio Ovale è degenerato in un dibattito televisivo surreale, trasmesso in diretta su Fox News. Secondo Le Monde, Vance avrebbe orchestrato il confronto, spingendo Trump a rompere pubblicamente con l’alleato ucraino. «Volete altri soldi? Allora smettetela di parlare di democrazia e dateci i nomi dei vostri oligarchi!», avrebbe urlato Trump, mentre Vance osservava in silenzio, soddisfatto.
Fonti della Casa Bianca rivelano che il vicepresidente, giorni prima, aveva preparato Trump con dossier selettivi sull’inefficienza degli aiuti all’Ucraina, enfatizzando presunti legami tra Kyiv e gruppi progressisti americani. Una mossa che ha trasformato Zelensky da eroe della resistenza a capro espiatorio, allineandosi alla narrativa anti-interventista di Vance.
Vance, l’ideologo del nuovo isolazionismo
Già nel 2022, nel suo libro The New Nationalism, Vance delineava una visione anti-globalista che oggi permea la politica estera di Trump: riduzione degli impegni NATO, accordi bilaterali al posto di alleanze multilaterali, e scetticismo verso i conflitti “per procura”. Un’ideologia che Trump inizialmente considerava troppo estrema, ma che Vance ha saputo vendere come realpolitik populista.
Durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio 2025, Vance ha ignorato deliberatamente la guerra in Ucraina, concentrandosi invece su un monito agli alleati europei: «Se volete la nostra protezione, pagate in contanti o in risorse». Un discorso che ha scandalizzato i tradizionalisti repubblicani, ma che ha consolidato il suo ruolo di portavoce dell’America First 2.0.
Vance ha costruito il suo ascendente su Trump combinando lusinghe strategiche e appeal ideologico. «È l’unico che lo chiama “capo” invece di “signor presidente”», rivela un ex collaboratore. «Trump lo vede come un figlio politico, ma Vance gioca un doppio gioco: usa quella fiducia per influenzare decisioni chiave».
Un esempio? La vendita di TikTok a un consorzio guidato da Elon Musk, un’operazione gestita direttamente da Vance. Mentre Trump esitava, temendo ripercussioni elettorali tra i giovani, Vance ha argomentato: «I cinesi controllano i dati, ma noi controlleremo la narrativa». Una mossa che ha rafforzato il loro legame, nonostante le critiche bipartisan.
Le contraddizioni di Vance
La trasformazione di Vance da feroce critico di Trump, lo definì “un idiota culturale” nel 2016 a suo luogotenente fedele resta un rompicapo. Alcuni lo definiscono un “camaleonte ideologico”, ricordando che nel 2022, durante la campagna per il Senato in Ohio, Vance bruciò copie del suo stesso libro per ottenere l’endorsement di Trump.
Oggi, mentre promuove politiche anti-immigrazione che colpiscono persino i lavoratori stranieri delle sue fabbriche in Ohio, Vance incarna il paradosso del populismo: retorica anti-elitaria unita a pragmatismo spietato.
Alcune voci dicono che Trump stia preparando Vance come suo successore designato, affidandogli incarichi ad alto rischio, ad esempio i negoziati con la Corea del Nord, per testarne la resilienza. Intanto, Vance sta costruendo una rete parallela di sostenitori, incontrando segretamente leader di movimenti sovranisti europei e magnati tech.
Tuttavia, il suo destino dipende dalla capacità di bilanciare due identità: il populista ribelle che attira la base MAGA e il calcolatore pragmatico necessario per conquistare l’elettorato moderato.
L’alleanza Trump-Vance non è unidirezionale, ma un esperimento di potere condiviso: Trump fornisce il carisma e la visibilità, Vance l’ideologia e la tattica. Insieme, stanno ridefinendo il conservatorismo americano, mescolando nazionalismo economico, isolazionismo selettivo e guerra culturale.
Tuttavia, il rischio è che questa simbiosi acceleri la frantumazione dell’ordine internazionale e approfondisca le divisioni domestiche. Vance manovra Trump: lo amplifica, trasformando ogni suo impulso in politica. È il ventriloquo che usa il burattino per parlare più forte.
Per ora, la domanda cruciale resta: chi sta veramente tenendo le fila? La risposta, forse, è che in questa danza di potere, entrambi credono di condurre.