Punti chiave
Negli ultimi giorni, il dibattito politico italiano si è infiammato attorno al caso Paragon, un dossier che ha sollevato interrogativi inquietanti sulla libertà di stampa e sulla trasparenza delle istituzioni. La vicenda ha avuto origine dall’utilizzo del software spyware Graphite, prodotto dalla società Paragon Solutions, per intercettare giornalisti e attivisti italiani. Le dichiarazioni contrastanti del governo e delle forze di opposizione hanno contribuito ad alimentare il sospetto che dietro questa vicenda vi sia più di quanto sia stato finora ammesso.
La posizione del Governo
Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha negato categoricamente ogni coinvolgimento del suo dicastero nelle intercettazioni. Rispondendo alla Camera durante il question time a un’interrogazione del deputato Davide Faraone, ha affermato: “Le intercettazioni si fanno solo dietro autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Il nostro Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non ha mai stipulato nessun contratto con qualsivoglia società di qualsiasi tipo. Nessuna persona è stata mai intercettata da strutture finanziate dal Ministero della Giustizia nel 2024 e nessuno è stato intercettato dalla Polizia Penitenziaria”. Questa dichiarazione, seppur netta, non ha dissipato i dubbi, ma ha piuttosto acceso ulteriori polemiche.
L’opposizione, infatti, ha criticato la mancata trasparenza del governo, sottolineando come l’assenza di risposte chiare abbia contribuito a rafforzare i sospetti di un possibile insabbiamento. A mettere in discussione la versione ufficiale è stata anche la decisione del sottosegretario Alfredo Mantovano di classificare come segreto alcune informazioni richieste dal Parlamento, aumentando il sospetto che il governo stia cercando di nascondere qualcosa.
Le critiche dell’opposizione
Le accuse più dure sono arrivate dalla segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, che ha denunciato la mancanza di trasparenza dell’esecutivo. “Il governo Meloni sarà ricordato come il governo della fuga perenne, campioni del mondo di scaricabarile con le proprie responsabilità. Dopo l’inquietante liberazione di Almasri, in cui Giorgia Meloni si è data alla latitanza con il Parlamento, ora il governo tenta di squagliarsela anche sul caso Paragon. Sappiamo che giornalisti e attivisti italiani sono stati spiati con il spyware Graphite, utilizzato esclusivamente da organi dello Stato”, ha dichiarato Schlein, evidenziando la necessità di un’indagine approfondita.
Anche Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha espresso la sua preoccupazione, annunciando l’intenzione di chiedere accesso agli atti relativi alle spese per intercettazioni di tutte le procure della Repubblica. “Non ci fermiamo. Lo facciamo perché abbiamo combattuto quando hanno violato la nostra privacy con intercettazioni illegali e perquisizioni illegittime. E allora abbiamo promesso che saremmo andati fino in fondo. Scopriremo presto chi sta mentendo agli italiani”, ha scritto Renzi sui social, lasciando intendere che ci siano responsabilità ancora da accertare all’interno del governo.
L’intervento della Federazione della Stampa
Le preoccupazioni non sono rimaste confinate all’ambito politico. La Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) e l’Ordine Nazionale dei Giornalisti hanno annunciato la presentazione di una denuncia contro ignoti presso la Procura di Roma, con l’obiettivo di fare luce su chi abbia realmente autorizzato e condotto le intercettazioni con Graphite.
La segretaria generale della Fnsi, Alessandra Costante, ha sollevato un interrogativo cruciale: “C’è stato un solo giornalista spiato, Francesco Cancellato? Ne siamo sicuri? Noi temiamo di no, pensiamo che altri colleghi abbiano subito la stessa sorte e ci sono indizi in tal senso”. La decisione di Paragon di sospendere il contratto, nonostante il governo neghi ogni coinvolgimento, ha sollevato ulteriori sospetti sul possibile utilizzo su larga scala dello spyware.
A rincarare la dose è stato il presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani, che ha ribadito l’importanza di un’inchiesta giudiziaria: “Non è tollerabile che venga apposto il segreto di Stato su una circostanza di questo tipo ed è per questo che abbiamo deciso di rivolgerci alla magistratura, per sapere ciò che il governo non vuole dire nemmeno al Parlamento”. Secondo Di Trapani, la denuncia non è soltanto una battaglia per la tutela della privacy dei giornalisti, ma riguarda un principio fondamentale della democrazia: la libertà di stampa.
Le implicazioni per la libertà di stampa
L’intercettazione dei giornalisti attraverso spyware come Graphite rappresenta una grave minaccia per la libertà di stampa e il diritto all’informazione. Il Media Freedom Act, il regolamento europeo sui media, vieta l’uso di software-spia contro i cronisti, salvo in casi di eccezionale gravità. Tuttavia, Italia e Francia sono tra i Paesi che si sono opposti con maggiore determinazione all’introduzione di questo principio, sollevando interrogativi sul reale impegno del governo italiano nella tutela della libertà di stampa.
Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, ha sottolineato che “l’intera vicenda presenta tanti lati oscuri, che non si riesce a chiarire. Non si sa chi e perché abbia spiato uno o più giornalisti, circostanza che confligge con la democrazia. Non può esserci segreto di Stato su un caso come questo”. Secondo Bartoli, la denuncia presentata alla Procura di Roma rappresenta un passo necessario per ottenere risposte che il governo non ha fornito.
Una questione ancora aperta
Il caso Paragon ha sollevato interrogativi profondi sulla trasparenza delle istituzioni italiane e sulla libertà di stampa. Mentre il governo continua a negare ogni coinvolgimento, l’opposizione e le associazioni giornalistiche chiedono chiarezza su chi abbia autorizzato e condotto le intercettazioni. La denuncia presentata alla magistratura potrebbe rappresentare un punto di svolta per comprendere la reale portata della vicenda.
Il rischio che la questione venga insabbiata è concreto, ma la determinazione di giornalisti e politici potrebbe costringere il governo a fare piena luce sul caso. La libertà di stampa è un principio fondamentale di ogni democrazia, e l’Italia non può permettersi di scendere a compromessi su un tema così cruciale. Nei prossimi mesi, il lavoro della magistratura sarà determinante per chiarire la verità su una vicenda che potrebbe avere ripercussioni ben più ampie di quanto inizialmente ipotizzato.