Punti chiave
Nato per le strade e i sobborghi delle periferie, diffusosi a macchia d’olio sino a entrare nelle aule delle scuole, il fenomeno del bullismo è sbarcato negli ultimi anni sulla Rete rivelando il suo lato “cyber“. I fatti di cronaca parlano chiaro: nel solo Regno Unito dal 2011 al 2012 i minorenni rivoltisi al centralino del servizio ChildLine per denunciare situazioni allarmanti riscontrate sulla Rete sono saliti dell’87%, registrando un’impennata simile a quelle riscontrate in altri Paesi europei e negli Usa.
Data la necessità da parte delle istituzioni di porre un freno all’espansione di questo triste fenomeno, un tavolo congiunto di associazioni, enti e istituzioni presieduto dal viceministro per lo Sviluppo economico Antonio Catricalà ha presentato lo scorso 8 gennaio la prima bozza del “Codice di Autoregolamentazione per il contrasto del Cyber-bullismo“.
Un documento importante che sottolinea l’urgenza di porre un freno a un problema sociale di prim’ordine, causa in tempi recenti di episodi drammatici che hanno interessato giovani e giovanissimi perseguitati dai “cyberbulli” e sfociati in tragedia.
Il codice: chi lo ha approvato
Il testo, che dovrà ancora essere vagliato e integrato prima della definitiva approvazione, prevede che gli operatori della comunicazione si impegnino volontariamente a mettere in campo sistemi di segnalazione, ben visibili e utilizzabili da tutti, per comunicare tempestivamente l’esistenza di un qualunque atto di violenza e molestia sulla Rete. Una sorta di allarme pensato per contrastare sul nascere il fenomeno, a cui dovranno far seguito attività si sensibilizzazione, vigilanza ed eventualmente soppressione dei comportamenti giudicati pericolosi.
Un argomento tanto delicato e complesso richiede inevitabilmente uno studio approfondito, da realizzare insieme a tutti gli attori che oggi compongono il panorama della comunicazione. Al tavolo, presieduto dal viceministro Catricalà, hanno partecipato i rappresentati delle istituzioni Mise, Agcom, Autorità per la privacy, Polizia postale e Garante dell’infanzia, diverse associazioni di settore (tra cui Assoprovider e Confindustria digitale) e alcuni “big” della Rete come Microsoft e Google.
La prima bozza elaborata da questo collegio si compone di cinque articoli che prevedono una serie di misure che i soggetti aderenti prevedono di adottare, volontariamente, nell’immediato futuro per scoraggiare il Cyberbullismo e difendere le categorie di utenti più fragili tra le nuove generazioni.
Cinque punti contro i cyberbulli
partendo da alcuni presupposti contenuti nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e su alcuni recenti, tragici fatti di cronaca che hanno riguardato giovani vittime di persecuzioni online, gli estensori hanno creato un codice di autoregolamentazione destinato a tutti gli operatori della comunicazione, con un occhio di riguardo sul mondo del social networking.
Il meccanismo proposto è molto lineare e consiste nella prevenzione del fenomeno, nella possibilità di consentire agli utenti di segnalarlo e in una serie di strumenti atti a contrastarlo con interventi tempestivi da parte di chi eroga i servizi sulla Rete.
Il tutto, quindi, parte da un impegno condiviso nel realizzare campagne informative e di sensibilizzazione sul tema (art. 4 del Codice), con l’obiettivo di adoperarsi presso le sedi preposte per far capire ai più giovani quali situazioni devono essere considerate allarmanti e quali rischi si possono correre nel prendere troppo alla leggera un social network o anche un semplice messaggio sms ricevuto da uno sconosciuto.
Gli aderenti si impegneranno inoltre ad attivare nei rispettivi siti o applicazioni appositi tasti di segnalazione (art. 1 e 2), sempre ben visibili e raggiungibili da ogni pagina nella lingua predefinita dell’utente, in modo tale che persino un bambino possa immediatamente indicare situazioni di rischio o pericolo. Un sistema che, secondo gli addetti ai lavori, rappresenterebbe l’unico metodo efficace per arginare il fenomeno ed evitare agli utenti di risultare vittime di persecuzioni protratte nel tempo.
Per garantire una risposta immediata adotteranno opportuni sistemi per la rimozione in tempo reale dei contenuti offensivi (art. 3), a cura di personale qualificato che entro due ore dalla segnalazione avrà il compito di valutare l’esistenza di un fenomeno di Cyberbullismo ed eventualmente stroncarlo sul nascere. A chi si occuperà del controllo delle segnalazioni sarà inoltre data facoltà di oscurare temporaneamente i contenuti segnalati come lesivi, a titolo cautelativo e in attesa di un giudizio definitivo.
Nella bozza del Codice è anche prevista una stretta collaborazione con le Autorità competenti, al fine di risalire alle identità di coloro che utilizzano i servizi web per mettere in pratica forme di violenza, discriminazione o vessazione nei confronti dei propri coetanei (art.4).
Un’attività che dovrà essere condotta nel rispetto delle normative vigenti in tema di privacy e sotto la sorveglianza di un apposito Comitato di Monitoraggio (art. 5), istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico al fine di vigilare sull’operato dei soggetti aderenti al Codice, sui meccanismi di sicurezza messi in atto e sulle eventuali modalità di intervento a seguito delle segnalazioni.
I dubbi: poche linee guida
La necessità di adottare provvedimenti immediati volti ad arginare il Cyberbullismo riapre il dibattito sull’uso – e sul possibile abuso – che gli strumenti di censura possono avere in Rete. Se da un lato appare sacrosanto stroncare sul nascere un atto di violenza verbale, una persecuzione sociale, etnica o religiosa attraverso la rimozione istantanea di contenuti, segnalando l’episodio alle autorità competenti, dall’altro il rischio che uno strumento di censura possa essere impiegato in maniera eccessiva tanto da limitare la libera circolazione di pensiero o idee è sempre presente.
Dubbi sono sorti in merito alle funzioni di controllo che verranno attribuite direttamente ai gestori dei servizi, che si incaricheranno di vigilare ed eventualmente segnalare alle Autorità comportamenti assimilabili al tema del bullismo. Difficile, sulla base delle poche indicazioni contenute nella bozza, stabilire nel dettaglio quali incombenze spetteranno alle aziende e in quale misura. Al di là delle manifestazioni palesi ed eclatanti di cyberbullismo, il rischio è che in mancanza di paletti con regole precise ogni azienda possa elaborare un proprio “codice di censura”, stabilendo arbitrariamente quali comportamenti stigmatizzare e quali contenuti rimuovere.
Per il momento la bozza del Codice parla solo di “personale opportunamente qualificato” senza però specificarne le qualifiche (psicologi, pedagoghi, medici, esperti di comunicazione …). Improbabile, sotto questo punto di vista, che le aziende aderenti in via volontaria al Codice di Autoregolamentazione possano procedere all’assunzione di nuove figure “ad hoc” disponibili 24 ore su 24 a ricevere segnalazioni, valutarle e a proporre soluzioni nell’arco massimo delle 2 ore proposte dal Codice.
In tempi di crisi e di politiche economiche sempre più orientate al contenimento dei costi, dunque alcune aziende potrebbero delegare le incombenze di controllo a personale non adeguatamente qualificato o con scarsa esperienza delle dinamiche della Rete, magari a figure assunte in stage o a progetto, che difficilmente potrebbero svolgere la mansione in maniera adeguata e oculata.
In mancanza di una specifica formazione in materia, una discussione isolata sfociata in violenza verbale potrebbe essere a torto confusa per una manifestazione di cyberbullismo, fenomeno che invece prevede il reiterarsi nel tempo di comportamenti persecutori nei confronti di una singola persona.
O, in alternativa, che il personale deputato al controllo per non correre rischi decida di utilizzare la linea dura eliminando ogni contenuto solo apparentemente lesivo accettando quindi tutte le richieste di censura. In questo modo, anche un semplice post tra giovani amici ricco di sfottò bonari potrebbe assumere per un occhio poco attento i contorni apparenti di un focolaio di bullismo sulla Rete .In mancanza di regole certe il rischio è che rimozioni e segnalazioni siano affidate alla sensibilità delle singole persone deputate al controllo, che potranno decidere autonomamente cosa censurare e cosa no.
Il testo definitivo del Codice dovrà inevitabilmente fornire una serie di criteri sulla base dei quali stabilire se un contenuto può essere considerato o meno offensivo, in quali casi si potrà procedere alla sua rimozione e in quali specifici casi si dovrà segnalare l’accaduto alle Autorità competenti.
In caso di errore: solo un richiamo
Ma il dubbio più grande resta legato al carattere volontario dell’adesione al Codice e alla mancanza di procedure sanzionatorie per quanti, pur aderendo, non rispetteranno in futuro le direttive imposte dal documento.
In caso di mancato rispetto degli impegni assunti è infatti previsto un semplice “richiamo” da parte del Comitato di Controllo, organismo che peraltro dovrà nascere e proseguire la propria attività a “costo zero per lo Stato” (art. 5).
La bozza del Codice rappresenta al momento una prima, decisa risposta collettiva a un problema grave e fortemente sentito a livello sociale, pur necessitando di opportuni ritocchi e chiarificazioni su aspetti ancora poco chiari. Il testo, pubblicato l’8 gennaio, è destinato a restare in pubblica consultazione per 45 giorni sul sito del Ministero per lo Sviluppo economico allo scopo di ottenere suggerimenti, consigli e proposte dal popolo della Rete, prima della sua redazione definitiva.