Punti chiave
La riforma dell’Unione Europea sul copyright sta spaventando tutta internet: blocco delle news, fallimento dei piccoli editori, filtri ai contenuti e censura. Si parla di “morte dei meme” e di “addio YouTube”. Gli esperti di Alground hanno analizzato in maniera approfondita la legge approvata recentemente dal Parlamento Europeo: vi spiegheremo cosa dice e perchè potrebbe essere una catastrofe. Ma anche come venirne fuori.
Vi proponiamo prima alcune domande e risposte per comprendere rapidamente i punti del discorso e successivamente potete leggere l’intero dossier per una trattazione completa.
Ha tanti articoli e molte norme, ma i punti focali sono due: la difesa degli editori dagli aggregatori di notizie e dei controlli per bloccare preventivamente le violazioni del diritto d'autore.
Dice che coloro che inseriscono un link ad un articolo assieme ad un riassuntino o ad un estratto del contenuto, devono pagare una tassa all'editore che ha scritto quel contenuto (tassa sul link). Stessa cosa per le piattaforme che propongono titolo, foto e un estratto del testo di una news (gli aggregatori tipo Google News).
Ma all'atto pratico mentre gli aggregatori sono potenti, i singoli siti no, perchè le loro letture dipendono spesso dalle queste piattaforme. Non hanno pari potere contrattuale.
Quindi se i piccoli giornali scelgono di andarsene dagli aggregatori, perdono tutte le visite, e se gli danno il permesso di prendere i loro contenuti, è tutto come prima e la legge diventa inutile. Alla fine gli unici a poter contrattare alla pari sono i grandi gruppi editoriali di ogni paese.
L'art. 13 dice che quando un utente carica un contenuto su una piattaforma (tipo Youtube), il sito deve verificare tramite dei filtri che non sia materiale protetto dai diritti d'autore. Questo per evitare violazioni del copyright.
Il problema sta nel fatto che tutti i contenuti sono filtrati. Come se i postini aprissero le lettere per controllare che non ci siano illeciti. Inoltre un meccanismo del genere può rapidamente portare al blocco di attività sacrosante come la satira. Addirittura potrebbe trasformarsi in censura.
La Cina blocca Twitter, la Russia i siti LGBT e l'Ecuador usò la scusa del copyright per bloccare decine di siti che criticavano il Governo, il rischio è reale.
Per il discorso delle news, non c'è ancora una normativa specifica. Per il copyright tutti i contenuti possono essere caricati online. Poi se il proprietario dell'opera segnala una violazione del contenuto, la piattaforma la deve rimuovere. L'ente italiano, che può intervenire anche oscurando siti o pagine web è l'AGCOM.
E' stata approvata dal Parlamento Europeo. Ora deve passare al consiglio, dove ogni stato membro dovrà dire la sua, e poi ci sarà la votazione finale.
Puoi seguire gli aggiornamenti dell'europarlamentare tedesco Julia Reda, che guida l'opposizione a questa riforma. E sul sito Change.org puoi firmare la petizione per chiedere di bloccare il percorso della legge.
Ora che abbiamo chiarito i punti principali, partiamo inquadrando il pensiero alla base di tutto: l’Europa vuole costruire un mercato unico digitale, che permetta attraverso internet di scambiare qualsiasi cosa, dai prodotti alle informazioni su tutto il continente.
E’ con questo ideale che sono state elaborate negli anni scorsi diverse leggi. Ad esempio quella sul roaming: una volta se eri di un operatore telefonico nostrano e andavi in un altro paese, dovevi pagare una tassa per usare l’infrastruttura della nazione che ti ospitava, mentre ora non è più così. Un altro esempio più recente è la normativa GDPR, che vuole responsabilizzare le aziende nel trattamento dei dati degli utenti.
La riforma della legge sul copyright ha quindi, in linea teorica, un intento positivo, cioè quello di aiutare la comunità europea a far valere i suoi diritti.
La legge è molto lunga e complessa, ma gli articoli fondamentali sono due. L’articolo 11, che riguarda sostanzialmente la gestione delle news e delle informazioni, e l’articolo 13, che tocca la diffusione dei contenuti e il diritto d’autore.
Riforma UE sul copyright. L’art. 11 e la difesa degli editori dagli aggregatori
Per capire l’articolo 11 dobbiamo fare un piccolo passo indietro nel tempo. Negli ultimi 10 anni, i siti di informazione più o meno grandi potevano iscriversi agli aggregatori di notizie, Google News in primis, ma anche Yahoo! News , Libero (in Italia), Pulse o Flipboard.
Gli aggregatori citavano le notizie dei vari giornali e diventavano grossi e famosi, e in cambio veicolavano milioni di click ai giornali iscritti, che poi ci guadagnavano su.
Cosa è cambiato ad un certo punto? Che le piattaforme di aggregazione, hanno iniziato ad includere sempre più informazioni fino ad integrare il titolo della news, una foto e lo “snippet”, cioè un piccolo riassuntino del contenuto. E in questo modo i lettori, ad esempio di Google News, riuscivano a capire la notizia senza andare a leggere il giornale che l’aveva scritta.
E questo ha rotto l’incantesimo: alla fine ci guadagnava solo l’aggregatore che “sfruttava” gli editori.
Dopo tante polemiche e proposte, la legge europea, e in particolare l’articolo 11, sono stati sviluppati per raddrizzare la situazione. Secondo la norma se inserisci il link ad una notizia, con un riassuntino scritto da te o con la citazione di un pezzo dell’articolo, devi pagare una tassa all’editore. Una vera e propria “tassa sul link“.
Ma soprattutto, e questo è diretto sostanzialmente a Facebook e Google, se crei un trafiletto con Titolo, foto, snippet e link, devi ugualmente pagare l’editore.
Insomma, l’idea in sè non è cattiva, anzi. E’ una misura di giustizia nei confronti di chi lavora per produrre contenuti.
Il problema sta che fra il dire e il fare c’è di mezzo la realtà. Questa legge obbliga le piattaforme di aggregazione e i singoli siti web a rinegoziare i loro accordi. Tuttavia, mentre Google o Facebook sono immensamente potenti, il singolo quotidiano che magari deve a loro il 70% o l’80% del suo traffico, non ha lo stesso potere di contrattazione. E’ molto più debole.
E all’atto pratico se sceglie di usare la linea dura, esce dall’aggregatore e perde utenti e denaro, mentre se consente l’utilizzo pieno dei suoi snippet, ecco che la legge non è servita a nulla.
Gli unici che possono realmente parlare alla pari con le piattaforme, sono i grandi gruppi editoriali dei singoli paesi, e dunque piove sul bagnato. Si salvano sempre i soliti.
Il bello, si fa per dire, è che abbiamo già delle prove concrete delle conseguenze di questa “lotta”: in Spagna non si è trovato l’accordo e Google News praticamente non esiste più, con un danno immenso nei confronti dei millemila siti che ci vivevano attaccati. In Germania, gli aggregatori citano solamente i titoli, ma alla fine sono sopravvissuti solo i grandi giornali e la situazione è più o meno la stessa.
La norma rischia, nonostante le buone intenzioni, di causare un disastro.
Riforma UE sul copyright: l’art. 13 per la protezione dei diritti d’autore
Il secondo problema è relativo all’articolo 13. Anche qui le volontà dei legislatori sarebbero le migliori, e riguardano la difesa del diritto d’autore.
Nella situazione attuale, tutti possono caricare dei contenuti online liberamente, specie sulle piattaforme che vivono sullo User Generated Content come Facebook o Youtube. Nel caso in cui il proprietario di un contenuto veda la sua opera riprodotta o condivisa senza il suo permesso, può segnalare la cosa alla piattaforma e in Italia all’AGCOM, che interviene rimuovendola.
Esiste poi il Creative Common, cioè una serie di licenze che consentono di dare una progressiva libertà al riutilizzo dei propri contenuti.
L’articolo 13, invece, dice sostanzialmente che le piattaforme devono eseguire un controllo preventivo su ogni contenuto caricato dagli utenti, al fine di verificare che non vi sia alcuna violazione del copyright e solo successivamente accettarlo e renderlo disponibile online.
Giusto nella teoria, ma di nuovo devastante nella pratica.
Innanzitutto uno dei principi fondamentali del diritto è che chiunque è innocente fino a prova contraria. Se trasferiamo questo nei contenuti, ogni contenuto è legittimo fino a prova contraria. Ma inserire a priori un filtro significa affermare l’opposto: ogni contenuto è irregolare e non pubblicabile fino al via libera di una autorità. E’ inaccettabile.
Per farvi capire un esempio non esattamente allineato ma calzante: se scrivo una lettera di insulti, il postino la recapita e sarà il destinatario a lamentarsi. Con la nuova legge, è come se il postino aprisse la busta, e leggesse per controllare che non ci siano parolacce.
Il secondo problema è intellettuale: i filtri automatici non capiscono le sfumature dei significati umani, ad esempio l’ironia. Un meme che prende in giro un politico, potrebbe essere bloccato per via dell’immagine del personaggio o per la citazione di una frase, senza capire che non si vuole redistribuire contenuto protetto ma fare satira.
Il tutto potrebbe poi prendere la via della censura vera e propria. Un controllo totale su tutto quello che viene caricato online può diventare in un attimo repressivo. Penserete che sia una ipotesi lontana, ma tanto lontana non è: nel 2015, il Governo dell’Ecuador utilizzò la legge sul copyright per mettere i bastoni fra le ruote ad una dozzina di giornali online che criticavano l’operato dell’esecutivo.
Infine il problema puramente tecnico, ovvero degli errori di calcolo e dei blocchi non previsti. La tecnologia esistente più simile è il YouTube ID, che verifica l’audio di un video e lo blocca in caso di violazione. Ebbene, nel 2012, un video con un uccellino che cinguettava fu fermato perchè il suono era presente in un video musicale, e lo sbarco di un modulo della NASA su Marte, venne scambiato per qualcos’altro e rimosso. Simile sorte ad un live streaming del 2013, dove qualcuno si mise a cantare “Buon compleanno” e la diretta fu stoppata.
E dire che il sistema è stato sviluppato nel corso di 11 anni, il che fa capire quanto sia costoso. Da qui anche un altro problema: gli unici a poter avere dei filtri decenti sarebbero le grandi compagnie tecnologiche. Strada sbarrata a piccole iniziative private di condivisione contenuti.
Le proteste internazionali per bloccare la legge
Le due norme sono state accolte con enorme preoccupazione dai giganti del web. In una lettera aperta, gente come Tim Berners Lee (creatore del WWW) o Jimmy Wales (fondatore di Wikipedia), chiedono al presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani di intervenire. La lettera recita:
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Come gruppo di architetti e pionieri di Internet e loro successori, scriviamo a Lei per una questione urgente, una minaccia imminente per il futuro della Rete.
La proposta della Commissione europea per l ‘articolo 13 della proposta di direttiva per il diritto d’autore ha le migliori intenzioni.
Condividiamo la preoccupazione che ci dovrebbe essere un’equa distribuzione delle entrate online e un corretto uso delle opere d’autore, che avvantaggiano creatori, editori e piattaforme. Ma l’articolo 13 non è il modo giusto per raggiungere questo obiettivo.
Richiedendo alle piattaforme Internet di eseguire il filtro automatico di tutti i contenuti che i loro utenti caricano, l’Articolo 13 fa un passo senza precedenti verso la trasformazione di Internet da piattaforma aperta per la condivisione e l’innovazione, in uno strumento per la sorveglianza e il controllo dei suoi utenti.
L ‘Europa ha già un ottimo modello di responsabilità, in base al quale coloro che caricano contenuti su Internet hanno la responsabilità della sua legalità, mentre le piattaforme sono responsabili di rimuovere tali contenuti una volta che la loro illegalità sia stata portata alla loro attenzione. Invertendo questo modello di responsabilità e rendendo le piattaforme direttamente responsabili di garantire la legalità dei contenuti, i modelli di business e gli investimenti delle piattaforme grandi e piccoli dovranno cambiare. [/miptheme_quote]
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Il danno che questo può fare ad una Internet libera e aperta è difficile da prevedere, ma nelle nostre opinioni potrebbe essere sostanziale. In particolare, lungi dall’influenzare solo le grandi piattaforme Internet americane (che possono permetterselo), l’ònere dell’articolo 13 ricadrà più pesantemente sui loro concorrenti, comprese le start-up e le PMI europee. Il costo di mettere in atto le tecnologie di filtraggio automatico necessarie saranno costose e onerose.
In effetti, se l’articolo 13 fosse stato messo in atto quando i protocolli e le applicazioni di base di Internet furono sviluppate, è improbabile che Internet esisterebbe come lo conosciamo oggi. L’impatto dell’articolo 13 si ripercuoterebbe anche sugli utenti ordinari di piattaforme Internet non solo quelli che caricano musica o video, ma anche coloro che contribuiscono con le foto, testo o codice per aprire piattaforme di collaborazione come Wikipedia e GitHub.
Anche gli studiosi dubitano della legalità dell’articolo 13; per esempio, il Max Planck Institute per l’innovazione e la concorrenza ha scritto che “l’obbligo di applicare un filtro a tutti i dati di ciascuno dei suoi utenti prima del caricamento sui servizi pubblici è contrario all’articolo 15 della direttiva InfoSoc e alla Carta europea dei diritti fondamentali.
Una delle disposizioni particolarmente problematiche dell’articolo 13 come originariamente proposta dal Commissione e nei testi di compromesso del Consiglio e del Parlamento, è che nessuna di queste versioni del testo fornirebbe né chiarezza né coerenza nel tentativo di definire quali piattaforme Internet sarebbero obbligate a conformarsi e quali possono esserne esenti. L’incertezza che ne deriva guiderà le piattaforme online a lavorare fuori dall’Europa e impediranno loro di fornire servizi a livello europeo.
Sosteniamo le misure che potrebbero migliorare la capacità dei creatori di ricevere un compenso equo per l’utilizzo delle loro opere online. Ma non possiamo sostenere l’articolo 13, che imporrebbe alle piattaforme Internet l’incorporazione di un’infrastruttura automatizzata di monitoraggio e censura in profondità nelle loro reti.
Per il futuro di Internet, Vi esortiamo a votare per la cancellazione di questa proposta.[/miptheme_quote]
A combattere contro la proposta, l’europarlamentare tedesco Julia Reda, leader della fazione avversaria al nuovo regolamento, e anche semplici cittadini digitali, che sul portale Change.org hanno già raccolto 400mila firme per abolire il testo.
Il fatto che la legge abbia incassato una prima approvazione è il segnale che il Parlamento Europeo, sulla questione, ha questo orientamento. E ciò influisce in maniera determinante nel processo di ratifica definitiva delle norme. Esistono però ancora due passi: il Consiglio Europeo, dove ciascun paese membro dovrà dare la sua approvazione, e il voto finale di tutto il Parlamento.
Insomma, ci sono ancora dei passaggi, anche se la strada è abbastanza chiara.
Riforma UE sul copyright. La fine dell’Internet libera?
Ci troviamo di fronte alla fine dell’Internet libero? Secondo noi no, e sostanzialmente perchè la riforma, anche se approvata in via definitiva, dovrà poi essere applicata e adattata alla realtà di ogni specifica nazione europea. E in Italia abbiamo due armi. La prima è il Trattato di Nizza, ovvero la carta dei diritti fondamentali del cittadino Europeo, i cui articoli relativi alla libertà (6-19), potrebbero essere usati per opporsi alla legge.
E in secondo luogo, il carissimo e salvifico articolo 21 della costituzione, che sancisce il diritto alla cronaca e che potrebbe in molti casi “salvare” la libera espressione dal fuoco incrociato di regole e regolette.
Non possiamo fare altro che attendere gli sviluppi, anche se la riforma del copyright dimostra ancora una volta il modo con cui l’Europa intende l’Internet. Gli stati considerano sostanzialmente Google e Facebook come l’internet stessa, e non come due portali che ne fanno parte, e che sono i singoli consumatori od aziende a rischiare maggiormente.
Per loro le uniche vie di salvezza sono la non ancora capillarità della legge, che spesso si traduce in un nulla di fatto, e i singoli articoli delle costituzioni nazionali, che gli permettono di opporsi in situazioni al limite della logica.